Condominio e consumatore

Dalla Direttiva UE 93/13 al Codice del consumo: il condominio come soggetto da tutelare nei contratti con i professionisti

Nel 2005 entrava in vigore in Italia il D.lgs. 206/2005, meglio conosciuto come Codice del Consumo, che dava esecuzione nell’ordinamento interno alla Direttiva UE 93/13 concernente la disciplina delle clausole abusive nei contratti stipulati (da professionisti) con i consumatori.

Entrambi i testi avevano lo scopo di tutelare il consumatore, ritenuto il contraente più debole e sprovveduto, da pattuizioni ritenute gravose e potenzialmente pregiudizievoli imposte nei contratti – in virtù di una presunta maggiore forza contrattuale e conoscenza della legge – da parte di controparti professionisti, intesi come soggetti che agiscono per scopi riferiti alla loro attività economica o imprenditoriale.

IL CONSUMATORE: DEFINIZIONE CONTENUTA NELLA DIRETTIVA 93/13 E NEL CODICE DEL CONSUMO

Il Codice del consumo, mutandolo dalla definizione contenuta nella direttiva comunitaria, individuava all’art. 3 il “consumatore” nella persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta.

Un avvocato che acquisti un romanzo per suo personale diletto è da considerare un consumatore; lo stesso avvocato che acquisti un testo tecnico contenente il commento a una nuova legge per fornire una consulenza aggiornata a un cliente agisce invece come professionista.

Il requisito della persona fisica del consumatore

La qualità di persona fisica era dunque uno dei presupposti espressamente e indefettibilmente previsti tanto dalla direttiva quanto dal Codice di consumo per stabilire la natura di consumatore di un soggetto e assicurargli la speciale protezione prevista.

Il condominio: rientra nella categoria dei “consumatori”?

Sorgevano nel tempo dei contrasti in ordine alla possibilità di applicare la normativa di protezione anche ai rapporti contrattuali tra professionisti e il condominio che, nell’ordinamento italiano, non è una persona giuridica – non è infatti né una società né una associazione – e nemmeno una singola persona fisica.

A dare una risposta sono state una serie di sentenze di merito e di legittimità che si sono succedute nel tempo.

LA SENTENZA N. 4500-2019 DELLA CORTE D’APPELLO MILANO

In senso affermativo si è pronunciata in tempi recenti la Corte d’appello Milano con la sentenza n. 4500-2019 la quale, dopo avere precisato la natura, propria del condominio, di mero “ente di gestione” sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei condomini, ha precisato che questi ultimi, quando agiscono per la tutela e conservazione delle proprietà comuni tramite l’amministratore, assumono la veste di consumatori perché, in questo contesto, operano per scopi totalmente estranei alla loro eventuale attività imprenditoriale o professionale.

La Corte d’Appello ha chiarito che non rilevava in alcun modo la dimostrazione della qualità – di professionista o di privato – posseduta dai singoli condomini poiché l’amministratore del condominio, nel momento in cui conclude un contratto relativo alla gestione del bene comune, agisce per scopi estranei all’attività professionale svolta dai condomini stessi.

Causa davanti al Tribunale di Milano e rinvio alla Corte di Giustizia 

Nonostante la chiara posizione assunta dalla Corte di appello di Milano, il Tribunale di Milano, in data 1.4.2019, investito della decisione sulla medesima questione nel corso dell’istruttoria di un’altra causa, decideva, con un rinvio pregiudiziale, di interrogare la Corte di giustizia UE per un ulteriore – e definitivo – chiarimento sul punto.

Il caso pendete davanti al Tribunale di Milano

Un condominio situato a Milano, rappresentato dal suo amministratore, aveva stipulato con una società un contratto di fornitura di energia termica che conteneva una clausola per la quale, in caso di ritardato pagamento delle forniture, il debitore avrebbe dovuto pagare un certo tasso di interessi di mora.

A seguito del mancato pagamento di alcune forniture, la società fornitrice chiedeva la condanna del condominio al pagamento di quanto dovuto, aumentato degli interessi contrattualmente pattuiti.

Il condominio si opponeva sostenendo la propria natura di consumatore e quindi la abusività della clausola che prevedeva gli interessi di mora in quanto contraria a una norma – l’art. 33 – contenuta nel Codice del Consumo che ha attuato in italia la Direttiva 93/13.

La ricognizione della giurisprudenza italiana operata dal Tribunale di Milano

Il Tribunale di Milano s’interrogava nuovamente in merito alla possibilità di considerare un condominio di diritto italiano come rientrante nella categoria dei consumatori, ai sensi della direttiva UE 93/13 e del Codice del consumo.

Infatti, se da un lato la giurisprudenza della Cassazione si era pronunciata per l’applicazione delle norme a tutela dei consumatori anche ai contratti stipulati tra un professionista e l’amministratore di un condominio, il tribunale milanese ricordava come la Corte di giustizia UE, con la sentenza del 22 novembre 2001 C‑541/99, aveva stabilito che la nozione di consumatore introdotta dalla Direttiva 93/13 si fondava sulla natura di persona fisica del soggetto giuridico interessato, qualità che il condominio non possiede.

Il Tribunale di Milano riteneva tuttavia che l’esclusione dell’applicabilità della direttiva 93/13 – e del Codice del consumo – per il solo motivo che il soggetto che la invoca non è una persona fisica una persona giuridica priverebbe di adeguata protezione taluni soggetti giuridici nel caso, come quello del condominio, nel quale esista comunque – come nel caso del consumatore – una situazione di inferiorità rispetto al professionista.

Il contenuto della domanda di rinvio alla Corte di Giustizia

Il giudice italiano decideva pertanto di sospendere il processo e chiedeva alla Corte di giustizia di chiarire se la nozione di consumatore contenuta della Direttiva 93/13 ostasse alla qualificazione come consumatore di un soggetto – quale il condominio nell’ordinamento italiano – non strettamente riconducibile alla nozione di “persona fisica” allorquando tale soggetto concluda con un professionista un contratto per scopi estranei all’attività professionale e versi in una situazione di inferiorità nei confronti del professionista quanto a potere di trattativa.

SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE CAUSA NELLA CAUSA C-329/19

 La Corte di giustizia, dopo una precisa ricognizione del diritto comunitario e delle sue stesse pronunce, ha chiarito come l’interpretazione della normativa dettata a tutela del contraente consumatore esclude che il condominio, come qualificato dal diritto italiano, rientri nella nozione di “consumatore” in essa contenuta.

Di conseguenza, un contratto stipulato tra un professionista e il condominio, in persona del suo amministratore pro tempore, dovrebbe ritenersi escluso dalla applicazione di tale legislazione “di protezione”.

La Corte di Giustizia ha tuttavia ritenuto necessario stabilire se contraddicesse o meno alla ratio del sistema di tutela dei consumatori esistente all’interno dell’Unione europea la giurisprudenza nazionale della Corte di Cassazione italiana che interpretava la normativa di recepimento nel diritto interno della direttiva 93/13 in modo da ritenere applicabili le norme a tutela dei consumatori anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico non persona fisica quale è il condominio.

La facoltà degli Stati membri di estendere la tutela dei consumatori ad altri soggetti

La Corte di Giustizia ha ricordato che, ai sensi dell’articolo 169 del Trattato sul Funzionamento della Unione Europea (TFUE), gli Stati membri possono introdurre misure di tutela dei consumatori più rigorose, purché compatibili con il diritto comunitario.

La Corte ha sottolineato come la stessa direttiva 93/13, all’art. 8, precisava che il suo scopo era solo quello di un’armonizzazione parziale e minima delle legislazioni nazionali in materia di clausole abusive nei contratti dei consumatori e che gli Stati, pertanto, ben avrebbero potuto introdurre, nel rispetto del trattato, un più elevato livello di protezione mediante disposizioni nazionali più severe di quelle contenute nella medesima direttiva.

Gli Stati membri possono dunque estendere l’applicazione delle norme della direttiva anche a soggetti diversi rispetto ai consumatori come individuati nella stessa.

Le conclusioni della Corte di Giustizia UE

La Corte di giustizia ha dunque ritenuto che l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione italiana – volto a estendere l’ambito di applicazione della tutela della direttiva 93/13 anche al condominio – rientri senza dubbio nell’obiettivo di tutela dalla stessa perseguito e che, di conseguenza, era da ritenersi legittima, in quanto non contrario al diritto comunitario, la decisione di applicare le disposizioni del Codice del consumo a settori e soggetti, quali il condominio appunto, non ricompresi nel suo esatto ambito di applicazione della direttiva.

LA SENTENZA DELLA CORTE APPELLO GENOVA SEZ. I, 28/09/2020, N.859

La Corte d’appello di Genova, anche in applicazione dei chiarimenti della Corte di giustizia, ha quindi confermato, con la sentenza n. 859-2020, l’orientamento giurisprudenziale che si era formato in Italia.

Il caso

Un condominio e un’impresa edile stipulavano un contratto di appalto per dei lavori di manutenzione straordinaria dello stabile condominiale situato nel comune di Genova.

Terminati i lavori, il condominio contestava la sussistenza di vizi dell’opera e, per la restituzione delle somme pagate e il risarcimento del danno, citava in giudizio l’impresa davanti al Tribunale di Genova in forza di quanto previsto dal D.lgs. 2006/2005 – il cd. Codice del consumo – che assegna la competenza inderogabile a decidere le controversie tra professionista e consumatore – quale riteneva essere, il condominio steso – il giudice del luogo di “residenza o di domicilio”, nel caso di specie quello di “ubicazione” del condominio.

L’impresa si costituiva contestando, tra le altre cose, proprio la competenza del Tribunale di Genova poiché riteneva competente quello di Bergamo essendo contenuta nel contratto una clausola con la quale le parti avevano attribuito in via esclusiva a quest’ultimo la competenza a dirimere eventuali controversie fossero sorte.

Il Tribunale di Genova, ritenendosi tuttavia competente, condannava l’impresa che decideva pertanto di proporre appello contro la sentenza lamentando in primo luogo proprio il mancato accoglimento della sua eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Genova in favore del Tribunale di Bergamo.

Le conclusioni della Corte d’Appello di Genova

La Corte di Appello di Genova, con sentenza n. 859/2020 del 28.9.2020, dando ragione al giudice di primo grado, affermava che il condominio, in base alla giurisprudenziale prevalente interna – compresa quella della Corte di Cassazione con le sentenze 22.05.2015 n. 1067 – oltre che dei chiarimenti dati dalla Corte di giustizia UE era senz’altro da annoverarsi tra i consumatori.

Anche il condominio, pertanto, era destinatario della disciplina del Codice del consumo, ivi compresa la norma che prevedeva la competenza del foro domestico per le controversie relative ai rapporti con i professionisti.

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