Know-how e franchising

La tutela del franchisee quando nel contratto manca il know-how

Una società franchisee citava in giudizio davanti al Tribunale di Bergamo il proprio franchisor chiedendo che venisse dichiarata la nullità – o in subordine l’annullamento – di un contratto di franchising sottoscritto dalle parti e avente ad oggetto l’apertura, da parte della prima, di un ambulatorio ostetrico e di un asilo nido da inserire nella rete di franchising della seconda.

Il Tribunale adito, nel definire la lite tra le parti con la sentenza n. 1730-2019, ha avuto modo di fare il punto – allo stato della giurisprudenza delle Corti di merito e della Cassazione – sulla questione, assolutamente centrale, della indispensabilità o meno, per la configurabilità di un contratto di franchising, della concessione in godimento di un know-how dal franchisor al franchisee.

L’OGGETTO DELLA CAUSA TRA LE PARTI

Il franchisee, a fondamento delle due domande, lamentava di non avere ricevuto, da parte del franchisor, alcuna assistenza nella fase di apertura del suo punto vendita tanto da essersi dovuta attivare autonomamente per reperire i locali nei quali gestire la sua attività; denunciava inoltre la sostanziale inconsistenza del know-how oggetto del contratto di franchising oltre che la inadeguatezza delle attrezzature fornite dal franchisor.

Il franchisee contestava inoltre la mancata sperimentazione, da parte del franchisor, della formula commerciale allo stesso data in concessione e quindi, in definitiva, la mancata trasmissione del c.d. “franchising package“.

SINTETICA RICOSTRUZIONE DELLA DISCIPLINA LEGISLATIVA DEL CONTRATTO DI FRANCHISING.

Il Tribunale di Bergamo ha preliminarmente operato, nelle sue motivazioni, una sintetica ricostruzione della disciplina normativa dettata dalla Legge 129/2004 per regolare in Italia il contratto di franchising.

L’art. 1 della citata legge, nel definire la fattispecie, ha individuato, tra le plurime obbligazioni spettanti al franchisor, quella di concedere al franchisee – dietro versamento di un corrispettivo – la disponibilità di “un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale” tra i quali è espressamente menzionato anche il know-how.

Definizione di know-how nella Legge 129/2004 che regola il franchising

Il know-how è definito, sempre dalla legge 129/2004, come il patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate che sono il frutto di esperienze e da prove eseguite dal franchisor e che deve avere la caratteristica di essere segreto – nel senso di non  generalmente noto né facilmente accessibile a terzi né nella sua precisa configurazione né nella composizione dei suoi singoli elementi – sostanziale – nel senso di indispensabile al franchisee per attuare il modello imprenditoriale e commerciale del franchisor – e individuato, cioè descritto in modo sufficientemente esauriente per consentire di verificare se possiede effettivamente i citati requisiti di segretezza e di sostanzialità.

Descrizione sintetica del know-how nel testo contrattuale

La stessa norma prevede inoltre che il contratto – che deve essere redatto, pena la sua nullità, in forma scritta – deve indicare in forma espressa, tra gli altri elementi, anche la specifica del know-how concesso in uso dal franchisor al franchisee.

Infine, il Tribunale di Bergamo ricorda che la Legge 129/2004 richiede che il franchisor, per costituire una rete di franchising, abbia preventivamente sperimentato sul mercato la propria formula commerciale.

LE POSIZIONI CONTRASTANTI DELLA CASSAZIONE E DELLA CORTI DI MERITO SUL REQUISITO DEL KNOW-HOW

Richiamata la lettera della norma, il Tribunale di Bergamo ha sottolineato come si sia creato in giurisprudenza un evidente contrasto tra Corte di cassazione e Corti di merito – concordi, peraltro, con la prevalente dottrina – in ordine all’interpretazione dell’art. 1 della Legge 129/2004 e, in particolare, riguardo alla indispensabilità o meno della concessione di un know-how per la esistenza di un contratto di franchising.

La posizione della Corte di Cassazione sul requisito del know-kow nel franchising

La Cassazione infatti, con la sentenza n. 11256/2018, smentendo di fatto la posizione fino ad allora tenuta dalla quasi totalità dei giudici di merito, ha stabilito che, avuto esattamente riguardo alla lettera dell’art. 1, L. 129/2004, ha concluso che il contratto di franchising si caratterizza per la concessione in godimento e uso al franchisee – unitamente alla fornitura di altre prestazioni indicate nella norma – di uno o più dei vari diritti di proprietà industriale elencati nella norma stessa, che non devono tuttavia essere tutti previsti e trasferiti affinché si possa parlare di franchising.

In sostanza, la Cassazione ha chiarito come possa esserci un contratto di franchising che non contempli il trasferimento di know-how – che non è quindi da ritenere un elemento indefettibile di questo tipo contrattuale – ma che, per esempio, abbia per oggetto la concessione di altri diritti di proprietà intellettuale, variamente combinati, tra tutti quelli elencati all’art. 1 della Legge 129/2004.

Ne consegue che l’art. 3 della Legge 129/2004, nella parte in cui prescrive la specificazione per iscritto del know-how all’interno del contratto scritto di franchising, va inteso nel senso che quando – e solo quando – il contratto prevede anche il trasferimento del know-how, allora questo elemento deve essere specificato all’interno delle pattuizioni contrattuali con le modalità ivi definite.

Grado di specificità nella descrizione del know-how nel testo contrattuale

In questo caso, il “grado di specificità” con il quale i requisiti del “know-how” devono essere indicati dipende, caso per caso, dalle caratteristiche della fattispecie concreta, quali, ad esempio, la complessità della formula commerciale concessa in sfruttamento o perfino dalla articolazione della rete.

Secondo la Cassazione l’elemento essenziale e sempre imprescindibile del contratto di franchising non è il know-how bensì la formula commerciale intesa come l’insieme, variamente combinato, di diritti di proprietà industriale che il franchisor concede ai franchisee tra tutti quelli elencati all’art. 1 della Legge 129/2004.

Requisito della sperimentazione del know-how sul mercato

E, sottolinea la Cassazione, tale formula commerciale che deve essere sperimentata sul mercato dal franchisor nell’ottica dell’inserimento dell’impresa del suo franchisee in una articolata rete territoriale composta da una pluralità di altri franchisee e con lo scopo di commercializzare determinati beni o servizi.

Un’interpretazione assolutamente innovativa che, tuttavia, non solo non ha convinto i sostenitori dell’opposta tesi, ma, al contrario, lascia irrisolti alcuni interrogativi.

VALUTAZIONI DEL TRIBUNALE DI BERGAMO CONSEGUENTI ALLA ISTRUZIONE DELLA CAUSA

Il Tribunale di Bergamo ha osservato in primo luogo come il contratto di franchising stipulato fra le parti facesse riferimento alla nozione di know-how sia nella clausola sull’oggetto del contratto sia in quella contenente le obbligazioni del franchisor.

Pertanto, il giudice, ai fini della valutazione circa la validità del contratto, preso atto della espressa previsione espressa di un know-how da trasferire al franchisee, si è limitato a indagare la esaustività della descrizione dello stesso, senza prendere invece posizione – non essendovene una necessità processuale – sul riferito contrasto sorto tra la posizione della Cassazione e quella dei giudici di merito.

Insufficienza di descrizioni generiche del contenuto della attività

Richiamando un passaggio della sentenza della Cassazione, il Tribunale di Bergamo ha precisato che la descrizione del know-how, ove lo stesso sia citato nel contratto, non può ridursi alla mera enunciazione di formule eccessivamente generiche e fumose e nemmeno alla mera elencazione della tipologia di servizi offerti dal franchisor, essendo invece indispensabile una descrizione delle peculiari  modalità operative sperimentate da quest’ultimo nella gestione dell’attività imprenditoriale oggetto del contratto e proposte ai franchisee.

Mancanza di rinvii al manuale operativo e omessa individuazione della formula commerciale

Il Tribunale, all’esito della istruttoria, ha concluso che il contratto non conteneva una descrizione esauriente del know-how e nemmeno formulava rinvii, per descriverlo, al manuale operativo la cui consegna al franchisee – quale strumento di trasferimento era comunque stata affermata (ma non esattamente provata) dal franchisor.

Il Tribunale ha rilevato poi che il contratto non conteneva nemmeno una precisazione sulla reale consistenza della formula commerciale oggetto del franchising, neppure quelle minime riguardante le strategie di gestione delle risorse umane o dei contatti con i potenziali clienti volte ad agevolare l’avviamento e il mantenimento dell’attività del franchisee.

La mancata puntuale individuazione della formula commerciale oggetto del franchising impediva per il Tribunale di Bergamo di raggiungere la necessaria prova sulla avvenuta sperimentazione sul mercato della stessa.

Per contro il Tribunale di Bergamo ha giudicato irrilevante, ai fini della validità, il fatto – pure contesto dal franchisee – che, al momento della conclusione del contratto di franchising, il franchisor non avesse ancora costituito una rete di affiliati essendo sufficiente la prospettiva di inserimento delle attrici in una costituenda rete.

LA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI BERGAMO CON LA SENTENZA N. 1730/2019

All’esito della istruttoria il Tribunale di Bergamo la dichiarato la nullità del contratto di franchising stipulato fra le parti ai sensi dell’art. 3 della L. n. 129/2004 e ai sensi degli art 1346 r 1418 c.c. tanto per la mancanza della descrizione della formula commerciale dell’affiliante quanto per la mancanza della sua sperimentazione in epoca precedente la conclusione del contratto e, comunque, per  la mancanza di una esauriente descrizione del know-how.

Conseguenza della nullità del contratto di franchising

In forza della dichiarata nullità, il franchisee ha visto accolta la sua domanda di vedersi restituite, ai sensi dell’ art 2033, le somme versate in esecuzione del contratto nullo, più precisamente l’importo versato a titolo di fee di ingresso.

Il Tribunale ha invece rigettato la domanda di risarcimento danni poiché ha ritenuto che il franchisee avrebbe potuto, con l’ordinaria diligenza, venire a conoscenza della reale situazione: nel caso giudicato infatti nullità derivava dalla violazione di da una norma di legge rispetto alla quale sussiste la presunzione assoluta che la stessa debba essere nota alla generalità dei cittadini.

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